Il Pensiero Politico di John Locke e la Lotta tra Parlamento e Corona nell’Inghilterra del Seicento

John Locke e il Seicento inglese

Il Seicento fu uno dei secoli più turbolenti della storia inglese. Guerre civili, rivoluzioni, restaurazioni e cambiamenti ideologici segnarono in modo profondo la struttura politica e culturale del Paese.
In questo contesto, emerse la figura di John Locke (1632–1704), filosofo e pensatore politico destinato a cambiare il corso della filosofia politica occidentale.

Locke visse nel cuore del conflitto tra il potere assoluto dei sovrani e le rivendicazioni del Parlamento.
Attraverso le sue opere, in particolare i “Due Trattati sul Governo” (Two Treatises of Government, 1690), elaborò una concezione politica basata sulla libertà individuale, sui diritti naturali e sul consenso dei governati.
La sua visione costituì la base teorica del liberalismo moderno, ispirando rivoluzioni e costituzioni in tutta Europa e nel Nuovo Mondo.


L’Inghilterra del Seicento: un Paese in crisi tra monarchia e Parlamento

L’assolutismo monarchico e il diritto divino dei re

Agli inizi del Seicento, l’Inghilterra era governata dalla dinastia degli Stuart, rappresentata prima da Giacomo I e poi da Carlo I.
Entrambi sostennero la dottrina del diritto divino dei re, secondo la quale il sovrano deteneva il potere direttamente da Dio e non doveva rendere conto a nessuno dei suoi atti.

Questa visione assolutista entrava però in contrasto con la tradizione inglese, che fin dal Medioevo aveva riconosciuto al Parlamento un ruolo fondamentale nella tassazione e nel controllo del potere.
Quando Carlo I tentò di governare senza il Parlamento e di imporre nuove tasse senza autorizzazione, il conflitto divenne inevitabile.

La Guerra Civile inglese e la crisi della monarchia

Nel 1642 scoppiò la Guerra Civile inglese, che oppose i sostenitori del re (i “cavalieri”) a quelli del Parlamento (i “teste rotonde”), guidati da Oliver Cromwell.
La guerra si concluse con una vittoria parlamentare e con un evento senza precedenti nella storia europea: l’esecuzione di un sovrano regnante, Carlo I, nel 1649.

Dopo la guerra, l’Inghilterra divenne una repubblica (Commonwealth) sotto il governo di Cromwell, ma l’esperimento repubblicano ebbe vita breve.
Alla morte di Cromwell (1658), la monarchia fu restaurata con Carlo II, figlio del sovrano decapitato.

Dalla Restaurazione alla Rivoluzione Gloriosa

La Restaurazione non risolse i conflitti di fondo tra Corona e Parlamento.
Con Giacomo II, fratello di Carlo II, il potere assoluto e la questione religiosa tornarono al centro della scena politica. Giacomo, cattolico, tentò di imporre la tolleranza verso i cattolici e di governare senza il consenso parlamentare, suscitando l’opposizione dei protestanti e delle élite politiche.

Nel 1688, il Parlamento invitò Guglielmo d’Orange, marito di Maria Stuart (figlia di Giacomo II), a invadere l’Inghilterra.
Il re fuggì senza combattere: fu la Rivoluzione Gloriosa, che sancì la vittoria definitiva del Parlamento sulla monarchia assoluta.

Con la Dichiarazione dei Diritti (Bill of Rights, 1689), il Parlamento stabilì i limiti del potere reale e gettò le basi del governo costituzionale moderno.


John Locke: vita, formazione e contesto politico

John Locke nacque nel 1632, nel Somerset, da una famiglia puritana legata alla causa parlamentare.
Studiò a Oxford, dove approfondì la filosofia, la medicina e la scienza empirica. Tuttavia, la sua vera passione fu la filosofia politica, alimentata dal contatto con importanti esponenti del pensiero liberale, come Anthony Ashley Cooper, conte di Shaftesbury.

Locke visse in prima persona le tensioni politiche del suo tempo. Durante la persecuzione dei Whigs sotto Carlo II, dovette rifugiarsi nei Paesi Bassi, dove rimase fino alla caduta di Giacomo II.
Fu in quegli anni di esilio che maturò il suo capolavoro: i Due Trattati sul Governo, pubblicati nel 1690, subito dopo la Rivoluzione Gloriosa.


I Due Trattati sul Governo: la fondazione del liberalismo politico

Il Primo Trattato: la critica al diritto divino dei re

Nel Primo Trattato, Locke attaccò frontalmente la teoria del diritto divino dei sovrani, difesa da Robert Filmer nel suo Patriarcha.
Secondo Filmer, il re governava per volontà divina, come un padre sui figli.
Locke smontò questa argomentazione dimostrando che nessun uomo nasce con il diritto naturale di comandare sugli altri. Tutti gli uomini sono liberi e uguali per natura: il potere politico, quindi, non può essere imposto, ma deve nascere da un accordo tra gli uomini.

Questa critica demolì le basi teoriche dell’assolutismo e aprì la strada a un nuovo modo di concepire la sovranità.

Il Secondo Trattato: il contratto sociale e i diritti naturali

Nel Secondo Trattato, Locke sviluppò una teoria politica positiva.
Immaginò uno stato di natura, in cui gli uomini vivono liberi e uguali, soggetti solo alla legge naturale, che impone il rispetto reciproco e il diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà.

Gli uomini decidono poi di formare una società politica per garantire meglio questi diritti. Il governo nasce dunque da un contratto sociale, con il quale gli individui affidano parte della loro libertà a un potere comune.
Tuttavia, il potere politico è limitato: esso esiste solo per proteggere i diritti naturali.
Se il governo li viola, i cittadini hanno il diritto di ribellarsi e di sostituirlo.

Il concetto di proprietà

Per Locke, la proprietà privata è un diritto naturale.
Ogni individuo ha diritto ai frutti del proprio lavoro: quando una persona lavora una terra o produce un bene, ne diventa legittimamente proprietaria.
Lo Stato non può violare o confiscare la proprietà senza consenso.

In questa concezione, Locke esprime i valori della borghesia inglese del Seicento, che vedeva nella proprietà e nel lavoro i fondamenti della libertà economica e politica.


La libertà politica e il ruolo del Parlamento

Locke considerava la libertà politica come il pilastro della convivenza civile.
Un popolo libero è quello che vive sotto leggi comuni, create con il consenso dei cittadini o dei loro rappresentanti.
Il Parlamento, quindi, è l’espressione diretta della volontà popolare e il custode della legge.

La separazione dei poteri, anche se non formulata in modo sistematico come farà Montesquieu, è già implicita nel pensiero di Locke.
Egli distingue tra:

  • potere legislativo, che crea le leggi;

  • potere esecutivo, che le applica;

  • potere federativo, che gestisce le relazioni esterne dello Stato.

Il re non può dunque detenere tutti i poteri, perché ciò equivarrebbe alla tirannide.
Il Parlamento deve controllare il sovrano e impedire ogni abuso.
In questo modo, Locke giustificò filosoficamente la Rivoluzione Gloriosa e il nuovo sistema costituzionale inglese.


Religione e tolleranza: una nuova visione della convivenza civile

Oltre ai Due Trattati, Locke scrisse la celebre Lettera sulla Tolleranza (1689), un testo fondamentale nella storia della libertà di coscienza.
Dopo secoli di guerre religiose tra cattolici e protestanti, egli sostenne che nessuna autorità politica o ecclesiastica può costringere un individuo a professare una fede.

La religione, scrisse Locke, è una questione personale e riguarda la relazione tra l’uomo e Dio, non lo Stato.
Lo Stato deve occuparsi solo del bene pubblico, della sicurezza e della giustizia, lasciando ai cittadini la libertà di culto.

La separazione tra sfera politica e sfera religiosa fu una delle più grandi innovazioni del pensiero moderno.
Essa aprì la strada al pluralismo e alla tolleranza religiosa, valori che sarebbero diventati fondamentali nelle democrazie liberali.


L’eredità politica e filosofica di John Locke

Locke e la Rivoluzione Gloriosa

Il pensiero di Locke fu la giustificazione teorica della Rivoluzione Gloriosa del 1688.
Il nuovo ordine politico, fondato sul Bill of Rights, incarnava i principi del governo limitato, della sovranità parlamentare e del rispetto dei diritti naturali.
Per Locke, la legittimità del potere non dipendeva più dalla tradizione o dal diritto divino, ma dal consenso dei governati.

L’influenza su Illuminismo e democrazie moderne

Le idee di Locke influenzarono profondamente l’Illuminismo europeo.
Filosofi come Voltaire e Montesquieu ripresero i suoi principi di libertà e di limitazione del potere.
Ma fu soprattutto in America che il pensiero lockiano trovò la sua applicazione più diretta: la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti (1776) riecheggia chiaramente i suoi concetti di vita, libertà e diritto alla felicità.

Locke è quindi considerato il padre del liberalismo politico e una delle radici della modernità democratica.
La sua eredità si ritrova nelle costituzioni moderne, nella difesa dei diritti umani e nella concezione dello Stato come servitore del cittadino, e non come suo padrone.


Conclusione: Locke e la nascita del liberalismo moderno

Il pensiero politico di John Locke rappresenta una delle svolte più significative nella storia delle idee politiche.
In un secolo dominato da guerre civili e conflitti tra Corona e Parlamento, Locke seppe proporre una visione equilibrata e razionale del potere.
La sua teoria del contratto sociale, i diritti naturali e la centralità del consenso fondarono il modello dello Stato liberale.

Grazie a Locke, la politica non fu più vista come dominio, ma come accordo tra individui liberi ed eguali.
La libertà, la proprietà e la legge divennero i cardini di un nuovo ordine politico, destinato a plasmare il futuro dell’Europa e del mondo occidentale.

Oggi, a più di tre secoli di distanza, le idee di Locke restano di straordinaria attualità.
In un’epoca segnata da crisi politiche, disuguaglianze e tensioni tra potere e libertà, il messaggio lockiano – che nessun governo è legittimo senza il consenso del popolo – continua a rappresentare un faro per tutte le democrazie.


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