Israele e la Guerra a Gaza: un Conflitto che Consuma Risorse e Riduce la Rilevanza Geopolitica di Tel Aviv

A più di un anno dall’inizio dell’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza, la situazione appare sempre più complessa sul piano strategico, economico e politico. Ciò che doveva essere una campagna militare di breve durata si è trasformata in un conflitto prolungato, capace di ridefinire non solo il ruolo di Israele nel Medio Oriente, ma anche la percezione internazionale della sua forza e della sua visione geopolitica.

Pur avendo dimostrato capacità militari di alto livello, Israele si trova oggi a fronteggiare un progressivo logoramento interno — finanziario, diplomatico e politico — che rischia di erodere la solidità del suo sistema statale e la credibilità delle sue strategie di sicurezza.


1. Le origini e la natura del conflitto

1.1. Dal trauma alla strategia di risposta

L’attacco subito da Israele nell’ottobre 2023 da parte di Hamas ha segnato una svolta drammatica nella storia recente del Paese. La reazione di Tel Aviv è stata immediata e massiccia, con l’obiettivo dichiarato di neutralizzare le infrastrutture militari di Hamas e ristabilire la deterrenza regionale.

Tuttavia, la natura asimmetrica del conflitto e la densità urbana della Striscia di Gaza hanno reso l’operazione lunga e costosa, con risultati strategici incerti e una crescente pressione internazionale.

1.2. L’assenza di una visione geopolitica a lungo termine

Molti analisti concordano sul fatto che la guerra di Gaza non rappresenti una guerra con obiettivi geopolitici rilevanti, ma piuttosto una reazione di sicurezza immediata a una minaccia interna.
A differenza delle campagne del passato, come quelle del 1967 o del 1973, il conflitto attuale non mira ad espandere territori, modificare alleanze o ridefinire equilibri regionali.

La sua logica è prevalentemente tattica, non strategica: eliminare un nemico locale senza incidere sulle dinamiche più ampie del Medio Oriente.


2. Il peso economico della guerra

2.1. Una spesa militare in forte aumento

Secondo stime del Ministero delle Finanze israeliano, il costo diretto della guerra ha superato i 70 miliardi di shekel (oltre 18 miliardi di dollari), pari a più del 4% del PIL nazionale.
A ciò si aggiungono i costi indiretti: mobilitazione di riservisti, danni alle infrastrutture civili, calo delle esportazioni e rallentamento del turismo.

Il bilancio della difesa, già tra i più alti al mondo in rapporto al PIL, ha raggiunto livelli storici, riducendo lo spazio per investimenti civili e sociali.

2.2. Impatti su inflazione, debito e investimenti

L’aumento della spesa pubblica ha spinto il debito israeliano oltre il 65% del PIL, un dato insolito per un’economia abituata a mantenere equilibrio fiscale.
L’inflazione, alimentata anche dall’instabilità energetica regionale, ha eroso il potere d’acquisto e spinto la Banca Centrale a politiche monetarie più rigide.

Il risultato è una pressione crescente sulle classi medie e un rallentamento del settore high-tech, storicamente motore della crescita israeliana.


3. Israele e l’erosione della propria immagine internazionale

3.1. Il dilemma diplomatico

L’immagine di Israele, storicamente ancorata all’idea di una democrazia tecnologica e sicura, è oggi oggetto di crescenti critiche internazionali.
Le immagini della distruzione a Gaza hanno alimentato un forte dibattito globale, riducendo il sostegno diplomatico anche tra paesi tradizionalmente alleati.

Mentre gli Stati Uniti mantengono un appoggio politico e militare, in Europa si moltiplicano le voci critiche, e nei forum internazionali cresce la richiesta di cessate il fuoco e indagini sulle operazioni militari.

3.2. Isolamento regionale

Sul piano regionale, il conflitto ha congelato i progressi del processo di normalizzazione con i paesi arabi, avviato con gli Accordi di Abramo.
Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e altri attori del Golfo hanno sospeso i contatti formali, sottolineando la distanza tra Israele e il mondo arabo.
La guerra ha quindi interrotto quella che molti analisti consideravano una fase storica di reintegrazione israeliana nel contesto mediorientale.


4. La crisi interna e il logoramento politico

4.1. Un Paese polarizzato

Sul fronte interno, Israele vive una fase di profonda divisione politica. Le proteste contro la riforma giudiziaria del 2023 avevano già spaccato la società, e la guerra ha accentuato le tensioni.
Una parte dell’opinione pubblica sostiene la linea dura del governo, mentre un’altra chiede un approccio diplomatico e la fine del conflitto.

La fiducia nelle istituzioni e nella leadership è ai minimi storici: secondo sondaggi recenti, oltre il 60% degli israeliani ritiene che la guerra sia stata gestita male e senza un chiaro piano strategico.

4.2. La crisi di leadership

Il primo ministro Benjamin Netanyahu, già sotto processo per corruzione e al centro di contestazioni, è accusato da molti di aver strumentalizzato il conflitto per rafforzare la propria posizione politica.
La mancanza di una chiara strategia post-bellica sta alimentando il rischio di una crisi istituzionale e di elezioni anticipate, con conseguenze imprevedibili sulla stabilità del Paese.


5. L’inefficacia geopolitica del conflitto

5.1. Un’operazione senza obiettivi strategici globali

A differenza di altri conflitti regionali, la guerra di Gaza non sembra perseguire obiettivi geopolitici rilevanti.
Israele non cerca di modificare i confini, non intende ridisegnare gli equilibri del Medio Oriente e non ha rafforzato la propria influenza internazionale.

L’operazione ha invece concentrato risorse e attenzione su un fronte ristretto, senza offrire vantaggi strategici duraturi.
La distruzione di Hamas, anche se raggiunta, non risolverebbe il problema di fondo: la questione palestinese rimane irrisolta e continua a minare la sicurezza israeliana.

5.2. Un vuoto di visione geopolitica

Il conflitto rivela un vuoto di visione strategica.
Israele, che negli anni ‘90 e 2000 era riuscito a proiettarsi come potenza tecnologica e diplomatica, oggi appare ripiegato su sé stesso, concentrato su minacce locali più che su un progetto regionale o globale.

Questa tendenza rischia di marginalizzare Tel Aviv nei grandi tavoli geopolitici, proprio mentre nuovi attori — come Turchia, Arabia Saudita e Iran — avanzano il proprio protagonismo.


6. L’impatto sulla sicurezza e sulla società israeliana

6.1. La sicurezza come paradosso

Paradossalmente, la guerra nata per garantire la sicurezza di Israele ha prodotto un senso crescente di vulnerabilità.
Le tensioni al confine nord con Hezbollah, le minacce cyber e le difficoltà di intelligence hanno mostrato i limiti del modello di sicurezza israeliano basato sulla deterrenza assoluta.

6.2. Il costo umano e psicologico

Il conflitto ha avuto anche un pesante impatto sociale. Centinaia di migliaia di cittadini israeliani sono stati evacuati o mobilitati; l’economia civile ha subito interruzioni significative; il trauma collettivo dell’attacco iniziale ha lasciato ferite profonde.

La popolazione, storicamente abituata a vivere in stato di emergenza, oggi mostra segni di stanchezza e sfiducia.


7. La dimensione economica e tecnologica: il prezzo del militarismo

7.1. Il rallentamento del settore high-tech

Il settore tecnologico, motore principale dell’economia israeliana, ha subito un rallentamento dovuto all’instabilità e alla mobilitazione militare.
Molte aziende hanno perso manodopera qualificata richiamata alle armi, mentre gli investimenti esteri diretti sono calati sensibilmente.

7.2. La dipendenza dagli aiuti esterni

Israele continua a beneficiare di un sostegno militare e finanziario statunitense senza precedenti — oltre 14 miliardi di dollari nel solo 2024. Tuttavia, questa dipendenza crescente riduce l’autonomia strategica del Paese e alimenta un ciclo di spesa militare difficilmente sostenibile nel lungo periodo.


8. Le ripercussioni internazionali

8.1. Le relazioni con gli Stati Uniti

Il rapporto tra Israele e Stati Uniti resta forte ma più complesso.
All’interno della stessa opinione pubblica americana, cresce la critica alle modalità di gestione del conflitto e all’uso degli aiuti militari.
Washington si trova in una posizione delicata: sostenere un alleato storico senza compromettere la propria credibilità globale sui diritti umani.

8.2. L’Europa e la crisi di consenso

Anche in Europa, la guerra ha generato divisioni.
Alcuni paesi — come Germania e Regno Unito — mantengono una posizione di sostegno diplomatico, mentre altri — come Spagna e Irlanda — spingono per un riconoscimento immediato dello Stato palestinese.
Il risultato è un progressivo indebolimento del consenso europeo attorno a Israele.


9. Una potenza regionale in declino relativo

9.1. Dalla supremazia regionale al contenimento

Negli anni 2000 Israele era considerato una potenza regionale vincente, capace di coniugare sicurezza, innovazione e diplomazia.
Oggi il Paese sembra impegnato in un conflitto di logoramento che non accresce la sua influenza, ma ne consuma le energie.

9.2. Il Medio Oriente post-Israele-centrico

Nel frattempo, il Medio Oriente sta cambiando: Arabia Saudita, Iran, Turchia, Qatar ed Egitto giocano ruoli sempre più attivi.
Israele, invece, appare isolato, con poche prospettive di leadership regionale e una crescente dipendenza da Washington.


10. Conclusione: una guerra che logora più di quanto protegga

La guerra di Gaza ha dimostrato la forza militare di Israele, ma anche i suoi limiti strategici e politici.
In assenza di obiettivi geopolitici chiari, il conflitto ha consumato risorse economiche, indebolito la coesione interna e ridotto l’influenza internazionale del Paese.

Israele rimane una potenza tecnologica e militare di primo piano, ma appare oggi più vulnerabile sul piano politico e morale.
Il rischio, per Tel Aviv, è quello di vincere tatticamente ma perdere strategicamente, trovandosi con un sistema di sicurezza rafforzato solo in apparenza e una posizione globale indebolita.

Il futuro dipenderà dalla capacità del Paese di trasformare la propria strategia di difesa in una visione geopolitica di lungo periodo, capace di coniugare sicurezza, diplomazia e sostenibilità economica — tre pilastri senza i quali nessuna potenza, nemmeno la più armata, può durare nel tempo.

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