La crisi economica e politica del Giappone: Quando l’ingegneria finanziaria e l’espansione monetaria sono un veleno piu’ che una cura

Il Giappone ha attraversato decenni di stagnazione, bassi tassi d’inflazione (in molti periodi anche di deflazione) e politiche monetarie ultra-espansive. Si parla spesso del periodo delle “Lost Decades” come di una lunga fase in cui l’economia giapponese non è riuscita a ritrovare vigore, nonostante misure monetarie aggressive e stimoli fiscali continui.

Negli ultimi anni, tuttavia, il panorama è mutato: l’inflazione, che per lungo tempo era considerata un nemico da combattere, è tornata a far sentire la sua presenza. Secondo le stime ufficiali della Banca del Giappone, l’indice dei prezzi al consumo (CPI) al netto degli alimenti freschi (ossia l’inflazione “core”) è atteso nel 2025 tra il 2,5 e il 3,0% su base annua. In luglio, l’inflazione headline era al 3,1 %, valore che eccede l’obiettivo della banca centrale. Tuttavia nei dati sottostanti (esclusi cibi ed energia), l’inflazione “di fondo” è stimata attorno all’1,6 %, segnale che parte della pressione sui prezzi è dovuta a fattori transitori.

L’evento chiave è che l’inflazione ha cominciato a superare stabilmente il target del 2 %, rompendo un vincolo psicologico che per decenni ha tenuto ferme le politiche monetarie. Questo cambiamento pone la Banca del Giappone davanti a un dilemma: continuare con la politica espansiva per sostenere la crescita o normalizzare gradualmente per contenere gli effetti collaterali sui redditi reali.


L’espansione monetaria del BoJ: strumenti, rischi e limiti

La Banca del Giappone (BOJ) ha per anni adottato politiche di massima accomodazione monetaria: tassi vicini allo zero o negativi, programmi di acquisto di obbligazioni (quantitative easing), supporto ai mercati finanziari e immissione di liquidità nel sistema. Queste misure miravano a stimolare domanda, investimento e inflazione.

Ma ogni strumento ha i suoi limiti. Una politica così espansiva tende a erodere il valore reale della moneta, spingendo verso una valuta debole (lo yen). Un yen debole significa importazioni più costose — e per un Giappone che importa grandi quantità di materie prime, risorse energetiche e alimentari, questo si traduce rapidamente in pressioni inflazionistiche sui prezzi al consumo.

In effetti, i consumatori giapponesi oggi sono soggetti a un doppio colpo: prezzi in aumento e salari nominali che faticano a tenere il passo. Nei dati più recenti, i salari reali (cioè al netto dell’inflazione) sono in calo da diversi mesi consecutivi. Ad agosto 2025, i salari reali sono diminuiti dell’1,3 % rispetto all’anno precedente.

Questa erosione del potere d’acquisto mette sotto pressione la domanda interna: quando le famiglie percepiscono che una parte crescente del reddito va semplicemente a coprire i costi crescenti, tendono a rimandare consumi discrezionali — beni durevoli, viaggi, ristorazione — e a concentrarsi sul necessario.

Inoltre, l’espansione monetaria prolungata rischia di generare effetti distorsivi: bolle in mercati immobiliari o finanziari, indebitamento eccessivo, distorsioni nei prezzi di attivi e allocazioni inefficaci del capitale. Il Giappone non è nuovo a queste dinamiche: la bolla degli anni ’80 è spesso citata come esempio estremo.


La crisi dei consumi: come l’inflazione sta erodendo la spesa interna

La dinamica dei consumi in Giappone nel 2025 è diventata fragile. Nonostante un tasso di disoccupazione relativamente basso e una situazione del mercato del lavoro ancora tesa, i consumi reali stentano a riprendersi appieno. Secondo il rapporto della BOJ, i consumi privati restano resilienti ma mostrano segni di debolezza a causa dell’impatto dell’aumento dei prezzi.

In particolare, settori sensibili alla spesa discrezionale — come trasporti, turismo interno, beni voluttuari — registrano rallentamenti. Le famiglie tendono a ridurre gli acquisti non essenziali, accumulare risparmi precauzionali e rimandare decisioni di spesa di lungo periodo. Questo crea una tensione sulla crescita: se la spesa privata non ritorna, l’economia rischia di scontrarsi con una stagnazione o recessione.

Infatti, le stime per il 2025 prevedono una crescita debole o moderata del PIL reale. Deloitte, in un suo outlook, segnala che il PIL reale è calato dello 0,2 % su base annualizzata fra l’ultimo trimestre del 2024 e il primo del 2025. Il rallentamento esterno (commercio mondiale, domanda globale) e le pressioni sui profitti aziendali costituiscono venti contrari significativi.

Un’ulteriore complicazione è il fenomeno dell’“erosione salariale nominale”: se i salari nominali non crescono abbastanza da compensare l’inflazione, i lavoratori perdono terreno nel potere d’acquisto. In Giappone, la crescita salariale è moderata e in molti casi non sufficiente a contrastare il rialzo dei prezzi.

Così, si crea una zona grigia: prezzi in aumento, salari che arrancano, consumi che si contraggono — una condizione di stag-inflazione domestica, potenzialmente più pericolosa di inflazione leggera in crescita.


Le scelte della BOJ: tra cautela e normalizzazione graduale

Di fronte a questo scenario, la Banca del Giappone è in bilico. Trovare l’equilibrio fra stimolare la crescita e contenere gli effetti negativi dell’inflazione è complicato. Nei meeting monetari recenti, il BoJ ha mantenuto il tasso di politica al 0,5 %, sottolineando che molti rischi esterni (commercio, rallentamento globale) suggeriscono cautela. In settembre, ad esempio, la BOJ ha confermato il mantenimento dei tassi, pur iniziando a smobilitare parte degli acquisti di ETF e altri asset come passo verso una futura normalizzazione.

Tuttavia, contesti interni e pressioni politiche spingono verso una normalizzazione. L’inflazione core resta ben sopra il 3 % in vari casi, facendo salire le pressioni interne per un rialzo dei tassi. Alcuni segmenti del consiglio della BOJ supportano l’idea di salire a 0,75 % come passo successivo.

Ma un rialzo troppo rapido può danneggiare imprese, debiti e la fragilità di molte famiglie indebitate. Il BoJ deve dunque calibrare attentamente, guidato dai dati (inflazione persistente, crescita salariale, consumi) e dai rischi esterni.


Rischi strutturali e scenari futuri

Oltre alle tensioni cicliche, il Giappone soffre di fattori strutturali che aggravano la crisi monetaria-economica. Innanzitutto, il declino demografico: una popolazione che invecchia, un tasso di natalità in calo, una forza lavoro in contrazione. Questo fenomeno limita il potenziale di crescita, riduce la domanda interna di base e rende la spinta inflazionistica più fragile.

Poi c’è il problema della “curva di Phillips appiattita”: dati recenti suggeriscono che il legame fra disoccupazione e inflazione è meno marcato in Giappone, il che rende più difficile che una compressione del lavoro stimoli automaticamente l’inflazione salariale.

Un altro punto critico è la sostenibilità del debito pubblico: il Giappone ha uno dei più alti rapporti debito/PIL fra le grandi economie. Se i tassi di interesse salgono, il costo del servizio del debito può diventare un fardello molto gravoso.

Infine, la competitività internazionale: con uno yen debole, l’export può essere favorito, ma la competitività interna può essere compromet­- ta da costi più alti delle importazioni e da inefficienze. Se il Giappone non riesce a innovare, automatizzare e migliorare la produttività, rischia di perdere terreno rispetto a Corea, Cina e altri paesi dell’Asia.


Conclusioni: una sfida di riequilibrio

Oggi il Giappone attraversa una fase complessa: dopo decenni in cui l’ossessione era stimolare la crescita e uscire da stagnazione e deflazione, ora deve affrontare il rovescio della medaglia: l’inflazione che erode redditi, consumi che vacillano e l’incertezza sul passo della normalizzazione monetaria.

La politica monetaria espansiva — indispensabile per evitare il morbo della stagnazione — sta producendo costi crescenti. L’aumento dei prezzi, se non compensato da salari reali in crescita, mette pressione sulle famiglie e comprime la domanda interna. Questo può rallentare la ripresa o innescare recessioni secondarie.

La BOJ e il governo si trovano dunque davanti a un bivio: normalizzare troppo rapidamente e rischiare di strangolare la già fragile crescita, oppure essere troppo cauti e permettere che l’inflazione diventi una zavorra permanente. In questo contesto, le scelte sui tassi d’interesse, l’evoluzione dei salari, il sostegno alle fasce più deboli e le politiche strutturali per stimolare produttività, innovazione e partecipazione del lavoro, saranno decisive.

Se il Giappone riuscirà a ritrovare un equilibrio — tra stimolo e moderazione — potrà uscire da questa fase con un modello di crescita più sostenibile. Ma se sbaglierà il ritmo o sottovaluterà l’effetto combinato di inflazione e debolezza della domanda, rischia di ricadere in una nuova fase di stagnazione, ancor più difficile da rimediare.

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