La Francia, un tempo protagonista incontrastata dell’Africa francofona attraverso la rete della Françafrique (cioè l’insieme di legami politici, economici, militari e culturali che legavano Parigi alle sue ex colonie), sembra oggi attraversare una fase di transizione dolorosa. Non è una crisi improvvisa, ma una rottura lenta: i paesi africani — dal Sahel all’Africa occidentale — riducono o dismettono i legami militari, monetari o diplomatici con Parigi; al contempo, la Francia sta destinando risorse sempre maggiori al sostegno all’Ucraina e alle sue esigenze di difesa in Europa. Il risultato è che le tensioni finanziarie e strategiche si accumulano, generando una crisi che mette alla prova il posto stesso di Parigi nel nuovo ordine globale.
Il declino dell’influenza africana
Per decenni, la Francia ha esercitato un ruolo centrale in Africa francofona: agiva non solo come potenza politica, ma come garante monetario attraverso il CFA franc, come controller di istituzioni chiave (banche centrali, riserva obbligatoria, decisioni finanziarie), come interlocutore militare e garante di stabilità. Alcuni autori parlano di una forma di “signoraggio monetario” implicito, laddove parte della sovranità valutaria degli Stati africani era de facto vincolata a Parigi. Questo modello ha permesso alla Francia di «incassare» stabilità, influenza e accesso preferenziale a risorse minerarie, come uranio e altri minerali critici.
Negli ultimi anni, però, quel sistema sta disfacendosi. Secondo numerosi report, paesi che un tempo dipendevano da Parigi per protezione militare stanno provocatoriamente allontanandosi: Mali, Burkina Faso, Niger e altri hanno espulso truppe francesi o chiuso basi. Il ritiro militare coincide con un aumento del protagonismo di attori esterni — in particolare Russia e Cina — che offrono alternative strategiche a quei governi africani.
Ad esempio, il fatto che la Francia abbia iniziato a ritirarsi anche da paesi simbolici come la Costa D’Avorio segnala che ciò che si pensava fosse un legame “ineludibile” non lo è più. I governi africani che reclamano “sovranità” lo fanno anche come risposta al sentimento pubblico: in strada, si denuncia l’interferenza politica, i vantaggi percepiti come unilaterali per la Francia, e si reclama una gestione indipendente delle proprie risorse.
Così, Parigi perde territori d’influenza — non solo in termini militari, ma anche in termini economici e simbolici. Il CFA franc, pur ancora 14 paesi vi aderiscono, è fonte di crescente contestazione. Il vincolo che impone agli Stati africani di depositare metà delle riserve in Tesoreria francese è considerato da molti un freno allo sviluppo locale. In tali condizioni, la Francia fatica a estrarre le stesse “rendite implicite” di un tempo: la spinta alla decolonizzazione monetaria, il ripudio del passato coloniale, il “basta Francia” risuonano sempre più forti nel continente.
Il peso della guerra in Ucraina e gli obblighi strategici
Mentre Parigi perde influenza nei suoi “giardini africani”, è sempre più coinvolta nel grande teatro della sicurezza europea, specialmente a sostegno dell’Ucraina. Questo richiede spese militari, diplomatiche e logistiche imponenti. L’Europa chiede a potenze come la Francia di assumere un ruolo guida nella difesa del continente, anche perché gli Stati Uniti mantengono priorità globali più vaste.
Le risorse destinate all’Ucraina — armi, sostegno logistico, coordinamento con alleati, intelligence — sottraggono spazio ai capitoli interni del bilancio francese. In un momento in cui le finanze dello stato sono sottoposte a stress (debito precedente, costi sociali, investimenti in transizione energetica), l’onere aggiuntivo può generare disallineamenti: tagli ai servizi pubblici, maggiore pressione fiscale, riorientamenti strategici forzati.
Questa situazione produce una visione di Francia “diluida”: meno capace di gestire contemporaneamente la periferia africana e le sfide del fronte europeo. Il rischio è che Parigi si ritrovi a competere con budget e strategie ad alto rischio, mentre perde pezzi del suo antico impero influente.
La crisi economica che avanza
Con minori rendite da Africa (o almeno con rendite meno sicure), la Francia si trova con meno margini finanziari. Le misure compensative — aumenti delle tasse, riduzione di spese non prioritarie, indebitamento — sono dolorose per una società europea già provata dall’inflazione, dal costo dell’energia e dalla stagnazione economica post-pandemica.
La percezione politica si deforma: una nazione che si considera “Grande Puissance” deve giustificare internamente i costi elevati delle sue ambizioni estere. Il consenso sociale può vacillare se l’elettorato percepisce che “pagano sempre gli altri”: è un tema sensibile in un Paese in cui la spesa pubblica e il welfare sono parti costitutive della legittimità statale.
I settori colpiti possono essere quelli infrastrutturali, di innovazione, salute e istruzione. Se il governo concentra sforzi su armamenti e missioni estere, resta meno spazio per politiche di crescita domestica. In un’Europa dove la concorrenza interna è forte (Germania, Italia, Spagna), arranca chi non mantiene bilanci sociali attraenti.
L’incertezza geopolitica: un bivio per la Francia
La Francia si trova dunque in una fase di passaggio. Non è più quel potere coloniale che dominava l’Africa a piacimento, e non può permettersi ritiri strategici senza perdere prestigio. Deve reinventarsi — ma come?
Una possibilità è quella di puntare tutto sul soft power: cultura, lingue, scambi accademici, cooperazione e politiche che siano percepite come rispettose anziché paternaliste. In molti paesi africani, il francese rimane lingua d’elite e veicolo culturale, e il legame francese persistente nel sistema educativo e nelle infrastrutture rimane un capitale da non sprecare. Ma il soft power ha limiti: è lento, fragile, e facilmente contestato se non accompagnato da equità reale.
Un’altra strada è la riconfigurazione concreta della cooperazione bilaterale: che i paesi africani partecipino in modo più paritario, meno paternalistico, con modelli che valorizzino la sovranità locale, il partenariato equo e lo sviluppo sostenibile. Parigi dovrà accettare relazioni meno simmetriche ma più legittime.
In parallelo, la Francia dovrà rendere credibile la propria strategia europea di difesa, facendo squadra con i partner Ue, evitando di caricarsi da sola impegni globali e assicurandosi che gli sforzi militari all’estero non divorino la coesione interna.
Sul piano economico, la Francia dovrà diversificare le sue fonti di reddito e ridurre la dipendenza dalle rendite esterne. Più che mai, investimenti in settori ad alta tecnologia, energie rinnovabili, innovazione e mobilitazione del capitale privato saranno essenziali. Un cattivo bilanciamento tra ambizioni geopolitiche e gestione interna può innescare una spirale di crisi che erode la credibilità internazionale della Francia.
Una grande potenza in transizione
La crisi che la Francia vive oggi non è solo finanziaria o militare: è simbolica. La perdita d’influenza economica nelle sue ex colonie sfida il racconto stesso della grandezza francese; l’aumento dei costi per sostenere la guerra in Ucraina mette a nudo i limiti pratici delle ambizioni globali.
Se Parigi non saprà ridefinire il proprio ruolo e bilanciare le sue risorse, rischia di scivolare in una condizione di potenza “media” con pretese globali disallineate con le possibilità reali. Ma se agisce con saggezza, può trasformare questa crisi in punto di svolta: riconoscere che non può più comandare dal centro del mondo, accettare legami più equilibrati con l’Africa, costruire una difesa europea credibile e continuare a proiettare un soft power moderno.
In quest’epoca multipolare, l’errore non è cambiare, ma restare attaccati a modelli del passato che non funzionano più. La Francia ha il capitale culturale, la forza politica e l’identità storica per reinventarsi — ma deve farlo prima che perda troppo.