Negli ultimi anni gli scienziati hanno alzato il livello d’allerta su un rischio che fino a poco tempo fa veniva considerato remoto: l’indebolimento — e in scenari estremi il possibile collasso — della grande circolazione oceanica dell’Atlantico settentrionale, nota tecnicamente come Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC) e popolarmente associata alla «corrente del Golfo». Questa rete di correnti trasporta calore dalle regioni tropicali verso il Nord Atlantico e svolge un ruolo fondamentale nel clima europeo e globale. Nuove analisi e osservazioni, unite all’aumento dello scioglimento della Groenlandia e all’intensificazione delle emissioni di gas serra, hanno reso il rischio di bruschi cambiamenti nella circolazione oceanica un tema centrale del dibattito scientifico e politico.
Che cos’è l’AMOC e perché è importante
L’AMOC comprende correnti superficiali calde che viaggiano verso nord (tra cui la corrente del Golfo) e masse d’acqua più fredde e dense che affondano e ritornano verso sud in profondità. Questo meccanismo funziona come un nastro trasportatore termico: trasferisce energia termica, influenza i regimi delle precipitazioni e modula il clima regionale. Un indebolimento marcato ridurrebbe la capacità dell’oceano di trasferire calore al Nord Atlantico, con implicazioni dirette su temperature, modelli meteorologici e livello del mare sulle coste atlantiche.
Cosa dice la scienza recente
Negli ultimi anni sono emersi risultati contrastanti ma inquietanti: alcuni studi suggeriscono che l’AMOC è al suo punto più debole negli ultimi millenni e che la probabilità di un collasso, una volta considerata bassa, è ora stimata più alta in alcuni scenari climatici. Rapporti autorevoli come quelli dell’IPCC hanno evidenziato che, sebbene l’arresto completo rimanga incerto, il rischio aumenta con l’aumento delle emissioni e che la possibilità di un collasso entro i prossimi secoli non può essere esclusa. Ricostruzioni paleoclimatiche e nuove analisi modellistiche hanno inoltre portato alcuni ricercatori a stimare che la soglia critica (tipping point) potrebbe essere raggiunta molto prima del previsto in scenari ad alte emissioni. Al contempo, altri studi e gruppi di ricerca mantengono prudenza, sottolineando limiti osservativi e l’eterogeneità dei modelli.
Meccanismi che stanno accelerando il rischio
Due fattori principali alimentano il timore: 1) l’aumento di acqua dolce immesse nell’Atlantico settentrionale dallo scioglimento massiccio dei ghiacci groenlandesi, che riduce la salinità e la densità dell’acqua superficiale impedendo l’affondamento necessario all’AMOC; 2) il riscaldamento atmosferico globale che modifica flussi di calore e vento, alterando la stratificazione dell’oceano. Osservazioni satellitari e ricostruzioni recenti indicano che la Groenlandia sta perdendo massa a ritmi accelerati, aumentando l’apporto di acqua dolce proprio nelle aree critiche per la convezione marina.
Conseguenze ambientali e climatiche
Se l’AMOC si indebolisse fortemente o collassasse, le conseguenze sarebbero ampie e complesse:
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Europa occidentale e nord-occidentale: potenziali inverni più freddi ed estremi, modifiche nel pattern delle tempeste atlantiche e alterazione delle stagioni, con impatti su agricoltura, energia e infrastrutture.
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Modifiche alle precipitazioni globali: spostamenti nelle bande pluviometriche tropicali e subtropicali (ad esempio la fascia delle piogge tropicali), con rischio aumentato di siccità in alcune aree e maggiori precipitazioni in altre, influenzando la disponibilità d’acqua e la sicurezza alimentare.
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Innalzamento locale del livello del mare: l’indebolimento dell’AMOC può causare un innalzamento del livello del mare lungo la costa orientale degli Stati Uniti per variazioni nella circolazione e nella distribuzione delle masse d’acqua.
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Ecosistemi marini: cambiamenti nella temperatura e nella stratificazione influiscono sulla produttività biologica, sulle correnti di nutrienti e sulle rotte migratorie, con possibili collassi di stock ittici e ricadute sulla pesca.
Impatti economici
Gli effetti climatici descritti si tradurrebbero rapidamente in costi economici tangibili e diffusi:
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Agricoltura e sicurezza alimentare: variazioni stagionali e incertezza pluviometrica possono ridurre rese agricole in Europa, Africa occidentale e America Latina, aumentando i prezzi dei prodotti alimentari e la volatilità dei mercati.
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Energia e infrastrutture: picchi di domanda energetica per riscaldamento o raffreddamento, danni a infrastrutture costiere dovuti all’innalzamento del mare e a tempeste più intense, e maggiori costi di assicurazione e ripristino post-disastro.
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Pesca e industrie marine: cali produttivi e spostamenti dei banchi ittici inciderebbero su comunità costiere e industrie del pesce, compromettendo posti di lavoro e esportazioni.
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Costi finanziari sistemici: shock climatici e perdite di capitali concentrate in aree economicamente rilevanti potrebbero avere effetti a catena sui mercati finanziari, specialmente se gli shock si verificassero simultaneamente in più regioni.
Implicazioni geopolitiche
Le ripercussioni geopolitiche non sono meno gravi. Movimenti migratori dovuti a perdita di mezzi di sussistenza, stress idrico e collasso di raccolti possono creare pressioni transfrontaliere. Paesi con infrastrutture fragili potrebbero diventare più vulnerabili a instabilità interna, mentre le nazioni costiere e le potenze con interessi marittimi potrebbero rivalutare investimenti militari e strategie regionali. Inoltre, l’aumento delle risorse necessarie per adattamento e ricostruzione (dighe, infrastrutture resilienti, sistemi alimentari) può innescare competizione politica internazionale su finanziamenti e tecnologie. Studi recenti sottolineano come scenari di cambiamento rapido possano esacerbare tensioni già esistenti e alterare rapporti di potere regionali.
Incertezze e pluralità di vedute
È importante sottolineare che la comunità scientifica non è monolitica: alcuni lavori suggeriscono che un collasso rapido dell’AMOC sia improbabile entro il XXI secolo, evidenziando meccanismi di compensazione e limiti osservativi; altri, invece, vedono rischi reali e più vicini nel tempo. Questa divergenza riflette la complessità del sistema, la sensibilità dei modelli e la scarsità di serie osservazionali dirette su scala secolare. Perciò, la risposta politica deve combinare prudenza (principio di precauzione) e rafforzamento della ricerca osservativa e modellistica.
Cosa si può fare — mitigazione e adattamento
Le opzioni sono due direttrici complementari: ridurre le emissioni globali (mitigazione) per abbassare la probabilità di attraversare il punto di non ritorno, e rafforzare misure di adattamento (infrastrutture costiere, agricoltura resistente, piani di gestione dell’acqua, monitoraggio oceanografico). L’IPCC e numerosi gruppi di ricerca raccomandano tagli rapidi e profondi alle emissioni, insieme a investimenti in osservazione oceanica (boe, missioni, analisi paleoclimatiche) per migliorare la previsione e la preparazione.
Conclusione
Il possibile collasso della corrente del Golfo/AMOC non è solo un problema di fisica oceanica: è una minaccia potenzialmente di vasta portata economica, ambientale e geopolitica. Anche se permangono incertezze sulla probabilità e sui tempi esatti, la convergenza di evidenze sperimentali, modelli e segnali osservati suggerisce che il rischio non può più essere ignorato. Agire significa ridurre le emissioni, finanziare ricerca e monitoraggio, e preparare società ed economie a scenari più estremi. La scelta — rinviare costi e responsabilità o investire oggi in transizioni e resilienza — determinerà quanto drammatiche saranno le conseguenze future.