Il sogno atomico del Terzo Reich
Tra il 1939 e il 1945, la Germania nazista avviò uno dei programmi scientifici più ambiziosi e controversi della storia: la ricerca sull’energia nucleare e la possibilità di costruire un’arma atomica.
Spinta dal desiderio di dominio globale di Adolf Hitler e dal fervore tecnico del suo apparato militare, la Germania si trovò a essere, nei primi anni della guerra, in vantaggio teorico rispetto agli Alleati.
Nel dicembre 1938, i fisici Otto Hahn e Fritz Strassmann scoprirono il fenomeno della fissione nucleare dell’uranio, dimostrando che il nucleo dell’atomo poteva essere diviso liberando un’enorme quantità di energia.
Questa scoperta — confermata e interpretata da Lise Meitner e Otto Frisch — avrebbe potuto, in teoria, portare alla costruzione di una bomba di potenza senza precedenti.
Ma come si mosse la Germania dopo quella scoperta? E davvero, come sostenuto da alcune testimonianze, i nazisti arrivarono a sperimentare un ordigno rudimentale nella primavera del 1945?
1. Le origini del programma nucleare tedesco
Poco dopo la scoperta della fissione, nel 1939, il governo tedesco creò il Uranverein (il “Club dell’Uranio”), un gruppo di ricerca che riuniva alcuni dei più importanti fisici tedeschi:
Werner Heisenberg, premio Nobel per la fisica e padre della meccanica quantistica, Kurt Diebner, Carl Friedrich von Weizsäcker, Erich Bagge e altri scienziati civili e militari.
L’obiettivo era duplice:
-
Studiare la possibilità di costruire un reattore a fissione, capace di produrre energia e materiali fissili (come plutonio);
-
Valutare se fosse possibile, in tempi brevi, realizzare un’arma nucleare.
Il gruppo ottenne inizialmente finanziamenti e strutture di ricerca, ma col passare degli anni il progetto venne ostacolato da rivalità interne, mancanza di materiali e confusione organizzativa.
A differenza del successivo Progetto Manhattan americano, che mobilitò decine di migliaia di persone e risorse illimitate, quello tedesco rimase disperso tra laboratori civili e militari, senza un comando centrale né una strategia coerente.
2. Scienza, ideologia e limiti del Terzo Reich
Uno dei fattori che limitarono l’avanzata tedesca nel campo atomico fu la politicizzazione della scienza.
Molti scienziati ebrei — tra cui Albert Einstein, Leo Szilard e Niels Bohr — furono costretti a lasciare l’Europa, contribuendo poi allo sviluppo dell’atomica americana.
All’interno del Reich, la fisica nucleare fu spesso accusata dai teorici nazisti di essere “fisica ebraica”, osteggiata dai sostenitori della cosiddetta “fisica ariana”.
Nonostante Heisenberg fosse un genio riconosciuto, il regime guardava con sospetto alle sue teorie e al suo linguaggio accademico, considerandolo troppo distante dall’ideologia militante hitleriana.
Inoltre, il comando tedesco sottovalutò la fattibilità della bomba atomica, ritenendola un progetto troppo lungo e costoso per una guerra che si pensava breve e vittoriosa.
3. Gli esperimenti di Heisenberg e Diebner
Tra il 1940 e il 1945, i fisici del “Club dell’Uranio” condussero numerosi esperimenti per ottenere una reazione nucleare controllata.
Il principale obiettivo era costruire un reattore a uranio (la cosiddetta Uranmaschine), in grado di mantenere la fissione attraverso l’uso di uranio metallico e moderatori di neutroni, come l’acqua pesante.
Il problema cruciale fu proprio la mancanza di acqua pesante, prodotta quasi esclusivamente nell’impianto norvegese di Vemork, sabotato più volte dai commandos britannici e norvegesi tra il 1942 e il 1944.
Senza questa sostanza, i tedeschi non riuscirono a ottenere una reazione stabile.
Ciononostante, alcuni esperimenti di Kurt Diebner e Heisenberg nel 1944–45 dimostrarono che i ricercatori erano riusciti ad avvicinarsi a una condizione critica, seppur senza raggiungere l’autosostentamento.
4. Il mistero della Turingia e la testimonianza di Luigi Romersa
È in questo contesto che si inserisce uno degli episodi più controversi della storia del programma nucleare tedesco: il presunto esperimento atomico in Turingia, nel marzo 1945.
Il giornalista italiano Luigi Romersa, corrispondente di guerra per il Corriere della Sera, dichiarò negli anni successivi di essere stato invitato da Heinrich Himmler a presenziare, come osservatore, a un test segreto di un’arma “di potenza inaudita”.
Secondo la sua testimonianza, pubblicata in diverse interviste e nei suoi libri (Le armi segrete di Hitler, 1984), l’esperimento avrebbe avuto luogo tra il 4 e il 12 marzo 1945 nella regione di Ohrdruf, in Turingia — un’area che ospitava numerosi laboratori sotterranei e impianti segreti.
Romersa raccontò di aver visto, a distanza, un lampo abbagliante e una colonna di fumo a forma di fungo, seguiti da un’onda d’urto e da effetti termici simili a quelli di un’esplosione nucleare.
Dopo il test, sostenne di essere stato condotto nella zona colpita e di aver visto corpi carbonizzati e vegetazione distrutta, sintomi che attribuì a una forma di “bomba atomica rudimentale”.
5. Le analisi storiche e le prove disponibili
Le affermazioni di Romersa hanno generato decenni di dibattiti tra storici, fisici e giornalisti.
Alcuni ricercatori, come Rainer Karlsch nel suo libro Hitlers Bombe (2005), hanno sostenuto che la Germania nazista avrebbe effettivamente testato una piccola arma radiologica o nucleare tattica, basata su uranio e materiali convenzionali.
Karlsch cita documenti d’archivio sovietici e testimonianze di abitanti locali che avrebbero assistito a esplosioni anomale nell’area di Ohrdruf tra marzo e aprile 1945.
Inoltre, analisi condotte nel dopoguerra da fisici dell’ex Germania Est avrebbero rilevato tracce di radioattività residua, seppur non sufficienti a confermare un’esplosione atomica vera e propria.
La maggior parte degli storici, tuttavia, ritiene che non esistano prove concrete di un test nucleare nazista.
Gli esperimenti in Turingia potrebbero essere stati detonazioni convenzionali potenziate da materiali radioattivi o da tecniche innovative, ma non vere bombe atomiche.
Inoltre, la Germania del 1945 non disponeva né di quantità sufficienti di uranio arricchito, né della capacità di produrre plutonio necessario a un ordigno di tipo implosivo.
6. Gli Alleati e la “caccia agli scienziati”
Alla fine della guerra, gli Alleati avviarono un’operazione segreta chiamata Alsos Mission, guidata dal fisico americano Samuel Goudsmit, per localizzare laboratori, documenti e scienziati coinvolti nel programma atomico tedesco.
I risultati furono sorprendenti:
-
Gli americani scoprirono frammenti di uranio e prototipi di reattori incompiuti, ma nessuna bomba;
-
Heisenberg e i suoi colleghi furono catturati e detenuti in Inghilterra, nella famosa Farm Hall, dove furono intercettati segretamente.
Le registrazioni dimostrano che, alla notizia dell’esplosione atomica di Hiroshima, i fisici tedeschi rimasero stupefatti, non comprendendo subito la natura dell’arma — segno che non ne avevano costruita una.
7. Le ragioni del fallimento tedesco
Il fallimento del progetto nucleare tedesco può essere attribuito a una combinazione di fattori:
-
Disorganizzazione e rivalità interne tra esercito, SS e istituti scientifici;
-
Mancanza di risorse strategiche, come acqua pesante e uranio arricchito;
-
Scarsa priorità politica: Hitler e i suoi generali puntavano su armi più immediate, come i missili V2 e i jet Messerschmitt;
-
Emigrazione forzata di scienziati ebrei, che rafforzò il vantaggio scientifico alleato.
Laddove gli Stati Uniti investirono oltre 2 miliardi di dollari e 125.000 persone nel Progetto Manhattan, la Germania non superò mai la fase sperimentale di laboratorio.
8. Mito, propaganda e interpretazioni moderne
Il mito dell’“atomica di Hitler” continua a esercitare fascino, anche per il suo valore simbolico.
L’idea che il regime nazista fosse vicino a possedere l’arma assoluta rappresenta un archetipo della paura moderna: il potere totale nelle mani di un potere totalitario.
Alcuni studiosi, come Mark Walker e Thomas Powers, hanno suggerito che Heisenberg, pur avendo le conoscenze necessarie, avrebbe deliberatamente rallentato il progetto per evitare che Hitler ottenesse la bomba.
Altri ritengono invece che il fisico tedesco non avesse compreso appieno le condizioni pratiche per una reazione a catena esplosiva.
Le teorie di Romersa e Karlsch restano oggi controverse ma affascinanti, rappresentando un esempio di come storia e mito scientifico possano intrecciarsi in modo indissolubile.
9. Eredità e riflessioni storiche
Il programma atomico tedesco non produsse un’arma, ma lasciò un’eredità scientifica e morale profonda.
Molti fisici tedeschi, dopo la guerra, contribuirono alla rinascita della fisica europea e alla riflessione etica sull’uso della scienza per scopi militari.
La vicenda della presunta bomba atomica di Hitler ci ricorda che la linea tra progresso e distruzione è sottile.
La corsa all’energia nucleare, nata dalla curiosità umana, divenne rapidamente uno strumento di potere geopolitico — e una lezione universale sul rischio della conoscenza non accompagnata dalla responsabilità.
Conclusione: tra storia e leggenda
Oggi, la maggior parte degli storici concorda sul fatto che la Germania nazista non riuscì a costruire una bomba atomica operativa.
Tuttavia, il mistero delle ricerche di Turingia e le testimonianze di Romersa continuano ad alimentare domande affascinanti:
quanto erano vicini i nazisti al segreto dell’atomo? E quanto di ciò che sappiamo è stato forse nascosto, distrutto o dimenticato?
L’“atomica di Hitler”, al di là delle leggende, resta uno dei capitoli più enigmatici della scienza e della guerra, in bilico tra verità storica, propaganda e mito tecnologico.