La sera del 10 maggio 1941, in un momento cruciale della Seconda guerra mondiale, un aereo tedesco decollò dalla Baviera e attraversò il Mare del Nord diretto verso la Scozia. Ai comandi c’era Rudolf Hess, vice di Adolf Hitler, uno degli uomini più vicini al Führer e, per anni, considerato il suo possibile successore. Quando atterrò – o meglio, quando si lanciò col paracadute nei pressi di Glasgow – Hess non era in missione militare, ma in una missione di pace personale, segreta, e a tratti delirante. Sperava di convincere la Gran Bretagna a stipulare un accordo con la Germania, affinché Londra restasse neutrale o, addirittura, si unisse a Berlino nella guerra imminente contro l’Unione Sovietica.
Quella notte, un uomo partì convinto di poter cambiare il corso della storia. Eppure, il suo gesto rimase per sempre uno degli episodi più enigmatici e controversi dell’intera guerra, sospeso tra l’idealismo fanatico, la diplomazia occulta e la follia politica.
Rudolf Hess non era un funzionario qualunque. Nato nel 1894 ad Alessandria d’Egitto da una famiglia di commercianti tedeschi, aveva combattuto nella Prima guerra mondiale e, come molti reduci, era rimasto profondamente segnato dall’esperienza della sconfitta e dell’umiliazione di Versailles. Negli anni Venti si unì al Partito Nazionalsocialista e divenne presto uno dei più devoti seguaci di Hitler. Partecipò al Putsch di Monaco del 1923 e condivise con il suo capo la prigionia a Landsberg, dove lo aiutò a redigere il Mein Kampf. Il suo legame con Hitler era di natura quasi mistica: più che un politico, Hess era un credente. Credeva nel destino messianico della Germania e nel ruolo salvifico del Führer.
Quando Hitler prese il potere nel 1933, Hess fu nominato Deputato del Führer e divenne, di fatto, il numero due del partito. Non era un uomo di grande spessore strategico, ma aveva un’immensa influenza simbolica. Era un fanatico idealista, profondamente convinto che l’Inghilterra e la Germania fossero due nazioni “ariane sorelle”, destinate, per ordine naturale, a dominare il mondo fianco a fianco.
Questa convinzione, unita alla sua visione spirituale e ossessiva della politica, lo spinse, negli anni della guerra, a maturare un piano che oggi sembra incredibile ma che, nel suo contesto, rifletteva una logica precisa: persuadere la Gran Bretagna a ritirarsi dal conflitto e accettare un accordo con Berlino, per permettere alla Germania di concentrare le proprie forze contro l’Unione Sovietica.
Nel 1941, la guerra in Europa aveva raggiunto un punto di svolta. La Francia era caduta, l’Olanda e la Norvegia erano occupate, e la Germania dominava l’intero continente. Solo la Gran Bretagna continuava a resistere, isolata ma determinata, sotto la guida di Winston Churchill, che aveva respinto ogni proposta di pace avanzata da Berlino. Dopo la fallita offensiva aerea del Blitz, Hitler aveva rinunciato all’invasione diretta dell’isola e si preparava a lanciare la più ambiziosa operazione militare della storia moderna: l’invasione dell’Unione Sovietica, nome in codice Operazione Barbarossa.
Hess, come molti nel cerchio hitleriano, sapeva che la Germania avrebbe dovuto combattere su due fronti se la Gran Bretagna non fosse stata neutralizzata. Era convinto che una pace con Londra fosse possibile e persino naturale: secondo lui, gli inglesi, come i tedeschi, appartenevano alla stessa “razza germanica” e avrebbero dovuto riconoscere nella guerra contro il bolscevismo un obiettivo comune.
La convinzione che in Inghilterra esistessero ancora circoli aristocratici e politici disposti a un accordo con la Germania rafforzò la sua idea. Attraverso contatti indiretti, Hess aveva sentito parlare del duca di Hamilton, un nobile scozzese appassionato di aviazione e con presunti legami con ambienti filotedeschi. Hess interpretò questi segnali in modo del tutto personale, arrivando a credere che il duca potesse essere l’intermediario ideale per negoziare una pace separata con Berlino.
La sera del 10 maggio 1941, senza avvertire Hitler né i vertici della Luftwaffe, Hess salì a bordo di un Messerschmitt Bf 110 e decollò dall’aeroporto di Augsburg. Il volo, di circa 1.500 chilometri, era rischiosissimo: il suo aereo non era progettato per un’operazione del genere, e attraversare lo spazio aereo britannico significava esporsi al fuoco nemico. Dopo oltre quattro ore di viaggio, Hess raggiunse la Scozia e, rimasto a corto di carburante, si lanciò col paracadute nei pressi di Eaglesham, vicino a Glasgow.
Fu catturato da contadini locali e portato davanti alle autorità britanniche. All’inizio si identificò con il nome falso di “Hauptmann Alfred Horn”, ma la sua vera identità fu presto scoperta. I soldati che lo arrestarono non potevano credere che l’uomo che avevano davanti fosse davvero il vice di Hitler.
Quando la notizia raggiunse Londra, Churchill reagì con sorpresa e un certo sarcasmo. Scrisse in una nota: “Hess è venuto come un agnello tra i lupi.” I britannici non avevano alcuna intenzione di prendere in considerazione proposte di pace, tanto meno da parte di un emissario non autorizzato.
Hess, durante gli interrogatori, spiegò che era giunto in Inghilterra con un messaggio di pace da parte sua e, implicitamente, da parte del Führer. Voleva proporre un accordo che garantisse la sicurezza dell’Impero britannico in cambio del riconoscimento della supremazia tedesca sull’Europa continentale. Londra, secondo il suo piano, avrebbe dovuto restare neutrale nella guerra imminente contro la Russia, lasciando alla Germania il compito di distruggere il comunismo.
Ma la Gran Bretagna del 1941 non era più quella esitante del 1940. Churchill aveva consolidato il proprio governo e la popolazione, dopo il Blitz, era unita in un sentimento di resistenza patriottica. La proposta di Hess, se mai fosse stata reale, apparve subito come una manovra assurda, il frutto di un idealismo politico completamente disconnesso dalla realtà.
Churchill, pur curioso, rifiutò qualsiasi contatto serio. Fece internare Hess come prigioniero di guerra e ordinò che fosse trattato con rispetto ma con la massima segretezza. La vicenda, tuttavia, fu utilizzata come arma di propaganda: il governo britannico la presentò come la prova che all’interno del regime nazista esistevano divisioni e che alcuni dei suoi vertici erano pronti a trattare pur di salvarsi.
In Germania, la notizia cadde come una bomba. Hitler, inizialmente incredulo, reagì con rabbia e imbarazzo. Capì subito che la missione, se resa pubblica, avrebbe potuto essere interpretata come un tentativo di pace indipendente, quindi come un tradimento.
Nel giro di poche ore, ordinò di cancellare ogni traccia del ruolo politico di Hess, dichiarandolo “malato di mente” e sostituendolo con Martin Bormann, che da quel momento sarebbe diventato uno degli uomini più potenti del regime.
La stampa tedesca diffuse la versione ufficiale: Hess avrebbe sofferto di disturbi nervosi e avrebbe agito per impulso personale, senza alcun mandato. In realtà, pur non esistendo prove dirette di un ordine da parte di Hitler, molti storici ritengono che il Führer fosse almeno informato dell’intenzione di Hess, e che avesse lasciato fare, forse nella speranza di ottenere un successo diplomatico senza esporsi in prima persona. Quando il tentativo fallì, preferì sconfessarlo completamente.
Il fallimento della missione non ebbe alcuna conseguenza diretta sul corso della guerra, ma contribuì a definire la percezione del regime nazista come un sistema sempre più instabile e dominato da rivalità interne. Alcuni ambienti militari tedeschi, già scettici sulla possibilità di una guerra simultanea contro l’Inghilterra e la Russia, videro nel gesto di Hess un segnale di disperazione.
Dal punto di vista britannico, l’episodio confermò la determinazione di Hitler a lanciare l’operazione Barbarossa, che infatti iniziò poche settimane dopo, il 22 giugno 1941. La missione di Hess, dunque, può essere letta come un preludio diplomatico fallito alla guerra contro l’URSS, un tentativo disperato di isolare Stalin e assicurare alla Germania il controllo dell’Europa senza il rischio di un conflitto su due fronti.
Dopo la guerra, Hess venne processato a Norimberga insieme agli altri gerarchi nazisti. L’accusa lo considerava parte integrante della macchina del regime e, sebbene il suo gesto del 1941 fosse stato isolato, la sua partecipazione al vertice politico del Terzo Reich bastò a condannarlo all’ergastolo. Durante il processo, Hess mostrò un comportamento ambiguo, alternando momenti di lucidità a periodi di apparente amnesia. Rivendicò la sua lealtà a Hitler e sostenne che la sua missione fosse stata un tentativo di porre fine alla guerra, non di tradire la Germania.
Trascorse oltre quarant’anni nel carcere di Spandau, a Berlino, dove rimase l’unico detenuto dopo la liberazione degli altri gerarchi. Morì nel 1987, ufficialmente suicida, anche se la sua morte ha alimentato numerose teorie del complotto. Alcuni sostengono che sia stato ucciso per evitare che rivelasse verità scomode sui retroscena del suo volo; altri credono che avesse davvero perso la ragione già nel 1941.
A distanza di decenni, il “volo di Hess” resta un mistero irrisolto e affascinante. Gli storici continuano a chiedersi se fu un gesto puramente personale o se nascondesse un piano più ampio. Alcuni ritengono che Hess agì da solo, spinto da un fanatismo idealista e da un malinteso senso del destino. Altri ipotizzano che vi fossero intese segrete o almeno un tacito consenso all’interno del regime, con Hitler pronto a smentire tutto nel caso in cui il piano fosse fallito.
Ma al di là delle interpretazioni, l’episodio rivela qualcosa di più profondo: il contrasto tra la realtà brutale della guerra e l’illusione, tipica di certi fanatici, che la storia possa essere cambiata da un solo gesto simbolico. Hess credeva sinceramente di poter salvare l’Europa da una catastrofe più grande – quella della guerra contro la Russia – e di farlo attraverso una pace “tra ariani”, tra popoli che, nella sua visione distorta, condividevano una comune missione di civiltà.
La Gran Bretagna, però, non poteva accettare un accordo che significava in pratica la resa morale e politica al nazismo. Churchill lo capì immediatamente. Il mondo non poteva essere diviso in due imperi “germanici”, uno terrestre e uno marittimo, senza che questo significasse la fine della libertà europea.
Così il volo di Rudolf Hess rimase un gesto isolato, a metà tra follia e fede politica, un atto che avrebbe potuto cambiare la guerra solo nella mente di chi lo compì. Nella realtà, servì soltanto a rivelare quanto il regime nazista fosse intrappolato nelle proprie contraddizioni: tra visione ideologica e pragmatismo, tra la retorica della pace ariana e la realtà di un conflitto globale.
Hess, rinchiuso per decenni nella sua cella, divenne il simbolo di quella fede cieca e distruttiva che aveva animato molti dei protagonisti del Terzo Reich: un uomo disposto a tutto per un sogno politico impossibile, un sogno di potenza e purezza che si infranse contro la logica del mondo reale.